Non pensi mai che un semplice incubo possa divenire reale perchè una piccola parte razionale della tua mente ti ricorda che non è altro che un sogno che all'alba non potrà che finire.
Eppure.
Non poteva immaginare Kim che quella sera, durante una semplice ronda vicino ad un campo Gitano, il suo incubo sarebbe divenuto realtà. Non poteva immaginare, come sogno e veglia si sarebbe fusi impedento al suo raziocinio di mettere freno ai suoi più oscuri timori.
Un attimo prima era tranquillo, le luci in lontananza del campo. Un attimo dopo è l'incubo. Urla. Odore di bruciato. Lo scontro e lei che solo di sfuggita vede Fenrir crollare al suolo, vede la corazza di Hammerhead incrinarsi colpo dopo colpo. Lo sente però, la voce metallica che le parla attraverso il comunicatore, concitata per lo scontro, tesa a causa della sottile paura che gli si sta annidando addosso, attimo dopo attimo, dopo averla vista volare a terra colpita alle spalle. L'ultimo ricordo veramente lucido è la voce di Blayne che urla il suo nome, mentre la granata le detona addosso e crivella senza pietà alcuna.
Poi tutto s'è fatto oscuro, i suoni ovattati, il dolore un attimo prima forte e poi via via più dolce, come una promessa ad abbandonarsi a lui per poter stare, per un attimo solo, meglio. Il sangue scorre impietoso al suolo, lo sente il cuore che rallenta e non ce la fa a battere rapido come vorrebbe. Rifiuta qualsiasi cosa, ogni promessa di pace, ogni tentazione ad abbandonarsi e smettere di lottare. Rifiuta in maniera ostinata, perchè Blayne è lì, qualche metro più lontano, a combattere, sfocato e col tono di voce decisamente troppo basso, ma la sta chiamando, lo sa.
Eppure, anche così, riescono a spezzarla. In maniera subdola ed infame creano un incubo dentro all'incubo capace di frantumarla in mille pezzi.
Lo vede. Blayne nella sua Shell crolla al suolo con un tonfo, un colpo al volto e uno alla schiena han bucato definitivamente la corazza strappando a lei l'unica ancora che la teneva ancora lì in quel mondo.
Per la prima volta da anni vorrebbe piangere sotto il peso del cuore che si spezza e fa più male di qualsiasi dolore provato fino a quel momento. Se fino ad lì il cuore ha continuato ostinatamente a battere, quella singola scena è bastata a farlo desistere dall'assurdo tentativo di salvarla. Chiude gli occhi. L'oblio la invita e lei vi si abbandona contro alla ricerca di un abbraccio, l'ultimo di quella giornata infinita, dolce come il ricordo di quel poco di vita vissuta con lui.
« Una ferita sul corpo al posto di quella del cuore. Il sangue versato, fluisce a ritroso per i guerrieri di questa notte. Coloro che non hanno risparmiato né il proprio sangue né quello del nemico per salvare i miei figli: a loro il mio sangue, a loro la mia vita, a loro il mio ringraziamento, dono. »
Il mormorio materno, caldo e forte abbastanza da convincerla a farsi prendere per mano e strappare dal buio che avrebbe voluto disperatamente seguire. La regina Zoelie cancella l'incubo, risanando un corpo distrutto e regalandole il dono più grande.
Respira, si siede sotto l'onda di quel respiro, il cuore che ora batte in maniera assordante, troppo forte, troppo vivo, sotto l'afflusso di sangue che prima non c'era più.
La cella di metallo in cui per anni aveva chiuso il pianto si frantuma nell'istante esatto in cui vede Blayne muoversi e cercarla. Piange, come non ha mai fatto fino a quel momento. Piange per tanti motivi, di gioia e gratitudine sopratutto, riscoprendo cosa era la preghiera nell'istante esatto in cui s'è trovata a ringraziare la Regina per il dono fatto a Blayne più che per quello fatto a lei.
Si è resa conto tardi di cosa volesse dire amare realmente qualcuno. Blayne c'aveva provato a spiegarglielo quando, distrutto, le aveva raccontato il suo incubo più grande. Ingenuamente credeva di aver capito; la realtà, però, è una maestra impietosa. Soffre ed è felice, mentre una Shell a pezzi l'abbraccia e mormora qualcosa contro il casco. Soffre per ogni cosa non detta fino a quel momento che ora le si affolla in testa non facendo altro che alimentare un pianto ormai a dirotto, ed è felice e grata per ogni momento che son riusciti a vivere insieme.
Il tragitto fino alla base l'ha vissuto in una sorta di limbo, i compagni li ha guardati in maniera statica, troppo, mentre la testa non riesce a non pensare a tutto ciò che non ha mai fatto, o detto, o vissuto come meriterebbe d'essere vissuto. L'incubo è finito, ma la notte è ancora lunga.